RiseUp Girls. “per salvarci dobbiamo tendere una mano alle altre, ragazze. E poi stringere forte.” (C.Capria)

RiseUp Girls è un progetto nato dal bisogno di una ex cliente e oggi socia del progetto che mi ha chiesto se organizzassi gruppi di donne per confrontarci su come rispondere alle discriminazioni subite sul posto di lavoro.

Ho risposto che non ne avevo mai fatti ma che avremmo potuto organizzarli insieme perché mi rendevo conto soddisfacesse anche un mio bisogno di rispondere a una chiamata collettiva.

Abbiamo creato un format libero e informale, cercato un luogo per incontrarci ed è partita la prima mail a contatti comuni, in particolare verso donne professioniste che non fossero già troppo sensibili alla tematica trattata.

Abbiamo inviato la seguente mail: “Ti scriviamo questa mail perché sei una donna e una professionista.

Hai mai avuto il sospetto che, nonostante siamo nel 2023, non proprio tutte le barriere per le donne nel mondo del lavoro siano state abbattute?

Laura ed io abbiamo deciso di organizzare un incontro fra di noi per poter condividere le nostre esperienze.

Così è nato RiseUp Girls, un momento per “ritrovarsi, parlarsi, condividere le proprie storie […]  in una dimensione collettiva, che disinneschi la capacità della società della performance di renderci sempre più isolate, sempre più chiuse nello spazio limitato delle nostre esperienze e della nostra identità” (M. Gancitano

Qualunque sia il tuo percorso, siamo sicure che tante cose che emergeranno durante la nostra chiacchierata, le riconoscerai nel tuo vissuto.

Iniziamo a cambiare le cose diventando più consapevoli insieme! Cosa ne pensi?”

Il format degli incontri è stato da subito molto destrutturato; l’unica regola condivisa è stata quella di mettersi in ascolto di sé e delle altre, di non giudicare e non giudicarsi: nessuna è più brava e nessuna è più libera o più femminista delle altre, tutte siamo in cammino.

Abbiamo preso un po’ ironicamente ad esempio il Feminist fight club. Manuale di sopravvivenza in ufficio per le ragazze che lavorano e il video Feminist Fight Club di  Jessica Bennett che in modo sarcastico ma brillante richiama alcune tematiche tipiche dell’ambiente culturale degli uffici a predominanza maschile (quindi il 90% degli uffici in Italia), come ad esempio:

  • Le voci maschili che interrompono e si sovrappongono a quelle femminili fino ad azzittirle
  • Gli uomini che chiedono alle donne di prendere appunti o di andare a prendere o fare il caffè
  • Gli uomini che chiedono alle donne se hanno le mestruazioni quando queste semplicemente dichiarano assertivamente che qualcosa non va
  • L’idea che le donne, per chissà quale ragione, dovrebbero essere in competizione tra loro

e modalità intelligenti di rispondere, perché non è sempre facile farlo se non si è preparate.

Questi spunti ci hanno aiutato inizialmente a creare un registro “ludico, ma fino a un certo punto”: siamo qui per trascorrere una serata piacevole ma anche perché siamo molto arrabbiate. Ci ridiamo su ma questa per noi è una cosa seria.

Mentre sono lì, penso che sembriamo un po’ Gloria Steinem e le sue compagne attiviste femministe descritte nel suo libro My Life on the Road e raccontate nell’adattamento cinematografico The Glorias, del 2020, diretto da Julie Taymor: donne diverse tra loro, gioiose ed arrabbiate!

Ma assomigliamo anche al quadro di Jean-Baptiste Lesueur “Riunione del club delle donne patriottichedel 1791 che abbiamo visto in una lezione durante il corso: cambiano gli abiti ma non l’energia, l’allegria, la forza che emerge dai movimenti, le espressioni, la prossemica, la vicinanza tra le donne.

All’inizio di ogni serata, Laura ed io proponiamo uno o più temi molto ampi; le partecipanti si dispongono a coppie, scegliendo una persona che non conoscono, e si confrontano sulle tematiche proposte, utilizzando le regole dell’ascolto attivo (ed in particolare il non giudizio).

Nella seconda parte della serata, ci si confronta in plenaria su ciò che è emerso nelle discussioni a coppie, su cosa ha colpito del racconto dell’interlocutrice, su quali pensieri ha stimolato in noi la discussione.

Laura ed io moderiamo ma partecipiamo attivamente con i nostri pensieri, esperienze, punti di vista.

Cosa è emerso

Non avevamo idea di quanto questa idea potesse essere potente, alla prima serata milanese hanno partecipato 14 donne, da allora abbiamo organizzato tre incontri, uno al mese su Milano e ci siamo spostate anche su Torino.

Le partecipanti hanno manifestato in ogni occasione un entusiasmo incredibile e molto gratificante per Laura e per me.

Sono emersi in particolare tre bisogni:

  • Il bisogno del gruppo fisico e non on-line (il bisogno di uscire di casa, vedersi, stare insieme)
  • Il bisogno di confrontarsi sulle tematiche di genere e, in particolare, come affrontarle
  • Il bisogno – riconosciuto ex post – di dirsi cose vere, autentiche

Una partecipante ci dice: “è la prima volta che partecipo ad un collettivo femminista”. “Ah! Siamo un collettivo femminista? Ci sta bene.”

Dalla discussione a coppie e in plenaria sono emerse tematiche fondamentali e profonde ed è corsa una energia incredibile tra noi.

Il contesto libero e destrutturato ma, credo, anche così diverso da ciò a cui siamo abituate, ci ha permesso di spogliarci di quel velo che ci portiamo addosso quando incontriamo altre persone, conosciute e non, in cui bene o male dobbiamo fare buona impressione. dobbiamo fare passare il concetto che ce l’abbiamo fatta o ce la stiamo facendo, nel nostro ruolo o in tutti quelli che vestiamo: professionista, compagna, madre, figlia, femminista, amica, sorella.

In queste occasioni siamo riuscite a far emergere un po’ di verità: “non ce la faccio, non so come fare, ho un pregiudizio, sono arrabbiata, sono stanca, non sopporto più…” ma anche “sono brava, sono fortunata, sono pazza di…, sono effimera…”

Siamo sempre uscite da questi incontri molto più leggere e molto stupite di quanto sia facile in fondo dirsi la verità.

Un particolare che voglio riportare è che a volte una di noi parla con la sua (nostra) cultura maschilista e patriarcale, senza neanche accorgersene e ciò che accade è che con gentilezza, si prova a farle guardare la cosa da un altro punto di vista e il risultato è il più delle volte illuminante.

È bello quando non dobbiamo essere più brave delle altre, nemmeno più femministe delle altre (a questo proposito adoro la geniale rubrica della pagina Instagram The Period: “il premio femminista che vincerò domani”)

Uno dei concetti emersi che mi ha più fatto riflettere è proprio il fatto che l’imperativo categorico è essere iper-performanti ed avere sempre e comunque l’asticella altissima e il timer puntato, senza mai, mai perdere il controllo.

Alle dimensioni di performatività a cui siamo sottoposte come esseri umani (che quindi coinvolgono anche gli uomini) si aggiungono quelle a cui siamo sottoposte in quanto donne.

Come accennato, le partecipanti hanno livelli di consapevolezza diversi ed è interessante cogliere l’interazione tra persone che hanno fatto e stanno facendo percorsi differenti; durante l’ultimo incontro milanese, un po’ per caso (era già giugno inoltrato e siamo rimaste in poche, molto coinvolte) ci siamo ritrovare in un gruppo di donne con un livello di consapevolezza medio alto rispetto al nostro percorso femminista e la serata ha avuto un andamento molto diverso rispetto alle altre perché abbiamo parlato di transfemminismo, intersezionalità, altre culture, coinvolgimento maschile, politica, società.. insomma, abbiamo spostato l’attenzione dal nostro vissuto ad un livello più teorico, allargandone un po’ i confini.

La serata è stata molto interessante e arricchente per ognuna di noi ma io spero che le serate di approfondimento teorico e culturale continuino ad alternarsi, o meglio, a fondersi con le serate in cui lo sguardo femminista si allarga verso le persone, le donne in primis (poi vedremo se avremo la forza di coinvolgere anche gli uomini o persone trans) che fino ad oggi non ci hanno fatto sufficientemente caso. Citando bell hooks, non possono esistere due femminismi: “il femminismo a basso profilo delle donne comuni e il femminismo di alto livello riservato a chi è veramente brillante e intelligente” o colto, o privilegiato forse?

Prossimi passi

Continueremo così, con i nostri incontri informali e vedremo dove questi ci porteranno. Le partecipanti sono sempre più coinvolte e ci hanno fatto alcune proposte.

Ci hanno chiesto di allargare la tematica, dal lavoro alla famiglia, alla maternità, alla relazione col il proprio corpo, all’educazione dei figli… potremmo pensare di fare degli incontri ad hoc e chiedere alle interessate di organizzarli in autonomia.

Coinvolgere gli uomini? Vedremo. Certamente questa è una battaglia da fare insieme ma sappiamo anche che il loro coinvolgimento non è banale.

Non abbiamo limiti e non abbiamo aspettative, ci sentiamo libere, esisteremo finché questa cosa avrà un senso e una utilità per qualcuna e per qualcuno.

Riflessioni

Questi appuntamenti mensili mi rendono felice perché mi fanno sentire utile, non solo come professionista dell’orientamento e consulente di carriera ma anche come donna tra le donne, sorella tra le sorelle.

E in qualche modo dimostra ciò che ho imparato quando ero piccola, che la collettività è fondamentale in un mare di singoli individui spesso un po’ sperduti.

Non bisogna dimenticare che l’utilità non è solo presa di consapevolezza ma è anche rete di appoggio morale, ma anche concreto ed operativo. Le donne da sempre si supportano, si aiutano, passano la voce, si mettono in contatto tra loro per risolvere problemi.

Quando si è sole si è molto più fragili, non c’è sostegno e non c’è la capacità immaginativa, trasformativa che si acquisiscono nel gruppo. Non c’è nemmeno la speranza.

Di nuovo citando bell hooks: “il vero problema è che [mia sorella] è isolata, non ha nessuna rete. Come hai fatto tu, Maria, a raggiungermi? Ti sei rivolta ad amici comuni che ti hanno aiutata a trovarmi. Siamo al punto di partenza: in una cultura patriarcale una donna povera, isolata con un retroterra proletario non ha accesso a nulla.

E non c’è neanche la fantasia per immaginare una rete di relazioni e contatti … forse perché la sua immaginazione è totalmente egemonizzata dalla propaganda della cultura popolare e della televisione.”

Bell hooks parla di donne povere ma per esperienza professionale posso confermare che questa povertà e mancanza di opportunità e visione non appartiene solo a chi proviene da un retroterra proletario, deriva piuttosto da una condizione culturale che non sempre coincide con quella economica.

Come anticipato, i feedback delle partecipanti sono stati tutti molto positivi ma la cosa più importante è che ognuna di loro ha dichiarato di essersi portata a casa e sperimentato nella vita quotidiana, un punto di vista diverso con cui guardare ciò che accadeva loro.

Ad alcune donne è bastato un primo livello di consapevolezza di superfice (“non ci avevo mai pensato”); ad altre sono venute in mente o sono nati bisogni di ulteriori tematiche di approfondimento, oltre al lavoro (es: famiglia, educazione dei figli, sessualità, potere politico) oppure il bisogno di indagare altre dimensioni come il transfemminismo intersezionale.

E dopo?

Il mio obiettivo è continuare a portare avanti un gruppo che stia in equilibrio tra la dimensione privata (l’esperienza personale, quella che sentiamo nostra, quella con il nostro capo, collega, l’episodio di quel mattino stesso) e quella pubblica (il collettivo e la piazza in cui andare tutte insieme a dire che ci siamo) ed egualmente tra la teoria che leggiamo con tanto interesse sui libri ma che – soprattutto alcune persone – hanno bisogno di trovare nella propria pratica quotidiana per sentire vicine e sentirsi coinvolte.

Coltivare rapporti femminili autentici è una medicina dell’anima e vale la pena distogliere energie da altre attività energivore per dedicarle a queste relazioni.

Citando Carolina Capria: “dovremmo impegnarci a destinare parte delle energie che normalmente dedichiamo a compiacere uno sguardo sconosciuto e a coccolarlo e ad arrancare dietro rapporti che non ci soddisfano e ci fanno sentire sempre in affanno, per costruire legami che non solo possano sostenerci ma che ci aiutino ad acquisire una nuova prospettiva.

Legami di sostegno e affetto, fatti di attenzione e amore e fondati sul rispetto e sull’impegno reciproco. Per salvarci dobbiamo tendere una mano alle altre, ragazze.

E poi stringere forte.”

 

PS: questo articolo è tratto dall’elaborato “Parlarsi tra donne: l’esperienza del progetto Riseup Girls” che ho redatto alla conclusione del corso “Genere Politica e Istituzioni. Percorsi formativi per la promozione della cultura di genere e delle pari opportunità̀” organizzato Comitato per le pari opportunità̀ dell’Università Bicocca e di cui vi parlerò. Se qualcuno o qualcuna. per masochismo, volesse leggere l’elaborato completo, basta che me lo chieda 🙂

 

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