Riflessioni sulla Sorellanza e sulla competizione tra donne: una serata a RiseUp

 

Sembra impossibile ma è già il terzo anno che noi donne di RiseUp ci salutiamo per le vacanze con la promessa di rivederci a settembre. Ormai siamo un gruppo consolidato, abbiamo creato un legame e forse un po’ anche per questo chiudiamo la stagione con un incontro sulla sorellanza. Lo conduco io perché è un tema che mi sta molto a cuore e avevo voglia di approfondirlo per l’occasione.

La prima cosa che mi succede è che dimentico a casa i libri che mi servivano per la conduzione:

forse sono troppo stanca; forse qui, in mezzo a queste donne, sto proprio lasciando andare ogni necessità di performance.. così tanto che arrivo impreparata. Beh, forse meglio così.

Iniziamo citando Carolina Capria, che ci ha anche regalato la frase del nostro pseudo payoff:

per salvarci dobbiamo tendere una mano alle altre, ragazze. E poi stringere forte(Carolina Capria, Campo di battaglia)

Questa volta cito un brano dall’ultimo libro “Maestre” che parla proprio di sorellanza, raccontando la storia dell’Alfabeto cinese Nushu:

“Nascere femmina  in una piccola comunità agricola della Cina di tre secoli fa significava avere un destino già tracciato, ma soprattutto convivere fin dall’infanzia con la limitazione della propria libertà.

Condannate a un’esistenza di fatica e isolamento, e private della possibilità di scoprire il mondo e se stesse, per sopravvivere alla sofferenza, le donne avevano bisogno di trovare un modo per comunicare tra loro.

avevano bisogno di esprimere il loro dolore.

avevano bisogno di sentirsi vicine alle altre e sapere di non essere sole.

e così inventarono la loro ancora di salvezza.

sebbene fossero analfabete, poiché la società le riteneva immeritevoli di ricevere un’istruzione, furono in grado di creare un codice di caratteri romboidali, che dal punto di vista grafico e grammaticale si spirava a quelli del cinese, mentre nella fonetica riproduceva i suoni dei dialetti locali, e di trasmettere il loro sapere da sorella a sorella, da madre a figlia, da nonna a nipote, per secoli.

Diventando così l’una la maestra dell’altra.

Scrivevano su ciò che avevano a disposizione, quindi perlopiù vestiti, fazzoletti, cinture, ventagli, e e per farlo utilizzavano la cenere che grattavano via dalle pentole bruciacchiate, raccontando la loro sofferenza ma anche la speranza di darsi conforto reciproco.

sono pochissimi gli oggetti giunti fino a noi, perché i manufatti venivano seppelliti insieme alla donna a cui appartenevano, ma tra quelli sopravvissuti al tempo vale la pena menzionare una moneta di bronzo che risale alla metà del 1800 e che reca la scritta tutte le donne del mondo appartengono alla stessa famiglia.

E poi ho citato pag 74 del libro Corpo elettrico di Jennifer Guerra che, parlando della transizione delle persone trans, ci fornisce una definizione di sorellanza che mi piace moltissimo e che secondo me è universale e che parla di reciproca protezione, luogo della differenza e spazio dell’incontro.

“auspico una sorellanza in cui tutte le donne possano prendere egualmente parola, basata sul proprio desiderio di autodeterminazione, in cui si realizzi un mutuo riconoscimento delle differenze. Il modo in cui possiamo costruire questa sorellanza è attraverso la reciproca protezione dei corpi, che sono sì la sede delle differenze, ma anche lo spazio dell’incontro

e poi sempre Jennifer Guerra a pagina 101 cita Audre Lorde, poetessa, scrittrice, nera del secolo scorso che ci invita a esplodere:

“la rabbia è un dolore di distorsioni tra pari, e il suo oggetto è il cambiamento”. Lorde distingue tra questa rabbia, una rabbia sana, che è l’elaborazione di decenni di soprusi dalla rabbia segnata dall’odio. La capacità di reazione risiede proprio in questo dolore condiviso che comincia esistere solo se ci sono quelle reti che permettono alle donne e alle soggettività oppresse di raccontare le proprie storie. È indispensabile fare muro intorno alle donne specialmente le più giovani, che subiscono la sopraffazione del potere maschile anche nelle forme più sottili.

A mio avviso Lorde, e per lei Guerra, si rivolge alle donne nere ma sta parlando anche a noi e al nostro raccontarci e fare rete.

Ma siccome le nostre di serate di RiseUp non sono mai serate teoriche di sola lettura ma sono soprattutto condivisioni di idee ed esperienze personali, a questo punto la mia domanda è stata: chi sono/chi sono state per voi le sorelle?

Le risposte sono state tante: amiche antiche, amiche nuove, giovani o anziane, sorelle di sangue oppure no, madri nonne, zie, la risposta che ci è rimasta di più nel cuore è stata: “le persone per cui cerco di migliorarmi”

Facendo sintesi del nostro anno di RiseUp forse possiamo dire che sorellanza siamo noi in RiseUp, sono le nostre amiche, le nostre figlie per cui ci battiamo, le nostre madri che hanno sofferto quello che hanno sofferto e per cui siamo qui,

sono le donne che sentono quello che sentiamo noi,

sono le donne piene di pregiudizi che non se ne accorgono o che se ne accorgono e si arrabbiano,

le donne che lavorano, qualsiasi cosa facciano,

le donne che curano – oppure no,

le donne col velo, le donne che vogliono toglierlo e quelle che vogliono tenerselo,

le lesbiche, le donne trans,

le donne che hanno subito violenza e sono state zitte come abbiamo fatto noi e le donne che non sono state zitte come abbiamo fatto noi, che ci siamo raccontate.

Ci siamo poi interrogate su cosa non avremmo mai potuto fare se non ci fossero state altre donne che ci hanno supportato da un punto di vista fisico e psicologico.

Abbiamo concluso che vivere senza una rete è faticoso, al limite dell’impossibile.

Ho letto poi un post che ho trovato su Linkedin di cui però non posso citare la fonte (e chiedo scusa e mi dispiace perché è un post bellissimo ma davvero non so di chi sia)

La sorellanza esiste, ma non è per tutte.

Non perché ci siano donne escluse a priori, ma perché non tutte sono disposte a fare il lavoro che serve per praticarla davvero.

Per come la vedo io la sorellanza non è una maglietta con la scritta “girl power”, né partecipare a un flash mob ogni 3 anni, né mettere un like sotto il post motivazionale del giorno.

La sorellanza, quella autentica, è una scelta quotidiana che richiede impegno e fatica. Qualche volta è una posizione scomoda, uno stare accanto, non sopra. Fare spazio, non competere.
Vuol dire smettere di usare gli stessi strumenti patriarcali (giudizio, invidia, controllo) con cui ci hanno cresciute, per farci la guerra sotto mentite spoglie.

Perché diciamolo: se il successo di un’altra ti fa rosicare, c’è un lavoro da fare.
E non su di lei.

La verità è che la sorellanza richiede spessore umano.
RICHIEDE LUCIDITÀ nel vedere dove, anche senza volerlo, abbiamo introiettato l’idea che ci sia posto solo per una;

ONESTÀ nel riconoscere quando siamo state più comode nel giudicare che nell’ascoltare; UMILTÀ nel dire: “posso imparare”, anche da chi è più giovane, appena arrivata, diversa da me.

Ciò che sorellanza NON è:

1. Non è dire “io al suo posto non l’avrei mai fatto”
Quando una donna cade, si espone, si confonde o sbaglia, la sorellanza non è infierire con frasi travestite da giudizio lucido. È saper vedere la fatica, anche se ha preso una forma che non approviamo.

2. Non è passare sopra un’altra donna per compiacere un uomo o un capo o un sistema
Quando pur di avere un posto al tavolo accettiamo che sia tolto a un’altra, stiamo tradendo non solo lei, ma anche noi stesse. La sorellanza non è dire “mors tua, vita mea”. È dire: ci siamo e ci stiamo entrambe.

3. Non è fingere supporto, mentre si spera che l’altra inciampi
Sorellanza non è quel sorriso che dice “brava!” mentre dentro pensi “tanto prima o poi cadrai”. Non è il supporto di facciata. È il coraggio di tifare sinceramente, anche quando il suo traguardo è più avanti del tuo.

EPPURE, quando due o più donne si scelgono come alleate, invece che come rivali, succede qualcosa di potente.

Succede che si smette di sopravvivere e si comincia a costruire.
Succede che si può sbagliare senza paura di essere fatte a pezzi.
Succede che si cresce insieme e che il successo dell’altra non ci minaccia, ci espande.

Io credo nella sorellanza. Ma non quella da slogan, credo in quella fatta di mani tese, parole pesate, silenzi accoglienti, interesse autentico.
Quella che si pratica anche quando sarebbe più facile o più comodo voltarsi dall’altra parte.

Mi si è fatto notare che questo vale per tutti, questa è anche fratellanza e sono regole di convivenza umana universale. E’ vero ma noi donne abbiamo un problema in più: la competizione con le altre.

Perché facciamo fatica ad essere complici tra di noi? Perché privilegiamo la competizione?

Sono secoli che ci insegnano a lottare per un uomo, c’è sempre stato un posto solo e più rivali (donne) a competere per quel posto, per il suo cuore, per avere un tetto sulla testa, per la vita o la morte.

Il potere è sempre stato concentrato nelle mani degli uomini e le donne sono sempre state in competizione tra loro per ottenere l’attenzione, la protezione o il favore di un uomo potente, ovvero il capo, il leader, il partner ideale, ecc.

In questi casi, l’uomo non è desiderato per attrazione personale, ma rappresenta una porta verso status, sicurezza o riconoscimento.

Molti miti, fiabe e modelli narrativi rafforzano l’idea che il valore di una donna venga confermato dal fatto di “essere scelta” da un uomo speciale.

Questa idea può essere talmente interiorizzata da operare anche inconsciamente.

La rivalità tra donne può diventare quindi una forma di prova di valore, misurata sul desiderio maschile.

In contesti patriarcali, il maschile è sempre stato associato alla legittimazione sociale.

Un uomo potente è una risorsa simbolica: chi ne conquista l’attenzione acquisisce visibilità e autorevolezza. Questo meccanismo ha alimentato la competizione, soprattutto in ambienti in cui le donne non hanno avuto accesso diretto al potere in modo autonomo.

L’educazione tradizionale spesso non ha promosso in modo esplicito modelli di collaborazione tra donne. Invece di insegnare il valore della cooperazione e della crescita condivisa, si è dato più peso al compiacimento, alla competizione velata e all’individualismo.

Inoltre gli uomini hanno sempre creato e gestito reti di alleanza e supporto reciproco nei contesti di lavoro e potere.

Le donne, non avendo avuto accesso a questi spazi, hanno spesso dovuto “farcela da sole”. Questo può aver ostacolato la cultura della sorellanza o dell’alleanza femminile.

Dal punto di vista comunicativo, i media oggi (come ieri) tendono a rappresentare le donne come rivali, in particolare in ambiti come il lavoro, le relazioni, l’apparenza fisica. Queste rappresentazioni rinforzano l’idea che le donne si ostacolino a vicenda più che sostenersi, creando narrazioni tossiche.

L’alleanza tra donne – come ogni alleanza tra minoranze – non fa comodo a chi detiene il potere, che continuerà a cercare in tutti i modi di creare divisione e rivalità tra noi.

Ma noi sappiamo qual è la forza che si scatena dalla nostra unione e dalla nostra alleanza e non smetteremo di costruirla. Ci si vede a Settembre!